Piccole Donne
Ho deciso di intitolare il mio intervento, prendendo in prestito il
titolo di un famoso libro di Louise Alcott che ha accompagnato la mia
fanciullezza.[…] Il romanzo narra la vita di quattro sorelle che crescono con
grande senso di responsabilità, sacrificio solidarietà reciproca. All’epoca
esso aveva molte estimatrici e naturalmente tutte s’identificavano con le
protagoniste brave, buone e un po’ sfortunate. Insomma mi sentivo una piccola
donna anch’io! […].
L’argomento
è lo spunto per introdurre la storia di Francesca, una storia che simboleggia e
racchiude quella di molte altre bambine che negli ultimi anni hanno frequentato
l’asilo nido in cui lavoro: sempre più spesso nella nostra struttura incontriamo
bambine che, come suggerisce il titolo esprimono comportamenti adulti.
Nei
confronti dei pari esse sono normative, danno le regole, ricordano i limiti o
manifestano atteggiamenti consolatori e di accudimento. Nei momenti di gioco,
come in quelli di routine, tendono a mantenere un controllo generale piuttosto
elevato, intervenendo negli scambi e nelle dispute tra bambini o indicando con
solerzia all’educatore questo o quel naso da soffiare, perdendo così il piacere
e il beneficio della partecipazione diretta.
Cercano
spesso di mettersi al posto dell’adulto nella gestione del gruppo e nella
conduzione delle attività.
Quello che
superficialmente può sembrare un comportamento “responsabile” da “bambine
grandi” è indicatore in realtà, di una serie di fatiche e adeguamenti che esse devono
continuamente mettere in atto per compiacere l’adulto ed essere gratificate.[..]
Già nel
corso del primo anno di frequenza, Francesca manifesta via, via sempre più i
suoi comportamenti “adulti” nei confronti degli altri bambini e la tendenza a
“mettersi al posto di” in relazione con l’educatore.
Fatica ad
accettare i limiti e le sue reazioni ai “no” consistono spesso in
manifestazioni di pianto e rabbia come se quei no fossero la fine di tutto e la
fine della relazione affettiva con me.
Non ha relazioni privilegiate con i pari e per tutte le caratteristiche
summenzionate, ha una certa difficoltà a entrare nei piccoli sottogruppi di
bambini, che di volta in volta si formano.[..]
Inizio a
lavorare sui limiti e mi rendo conto che i “no” che la bambina fatica ad
accettare, sono proprio quelli riguardanti il suo intervento in situazioni
riguardanti altri bambini. Le mie frasi “non occorre che tu dica a questo bimbo
cosa deve o non deve fare” “le regole le diamo noi grandi “ “se questo bambino
ha bisogno di essere consolato, ce ne occupiamo noi adulti”, “sei una bambina
come lui”la feriscono molto. La frustrazione che dimostra quando viene fermata
è enorme: piange, si butta per terra e rimane arrabbiata per un bel po’.
Il percorso
di ”avvicinamento” è lungo e ci vuole parecchio tempo prima che accetti di
essere contenuta in occasioni del genere. Parlo con il corpo oltre che con la
voce. Mentre verbalmente le comunico che anche se le dico di “no”, le voglio
bene lo stesso e sono disposta ad accoglierla, apro la mia postura (sono spesso
seduta per terra) e tendo la mano in segno di disponibilità. Ci vorranno
parecchi mesi prima che quella mano venga afferrata e che l’adulto normativo e
quello affettivo vengano integrati.
Contemporaneamente
lavoro sul riconoscimento della dipendenza e sull’aspetto insito nella
dipendenza, contrapposto alla frustrazione che si prova a dipendere da
qualcuno. Anche in questo caso il corpo è sempre un buon alleato: balliamo,
saltiamo, ci abbracciamo, ci lasciamo andare, rotoliamo a terra, incontriamo
gli altri.[…] Recuperiamo e riviviamo alcuni aspetti di quando era piccola ma
non troppo perché non è più una neonata. Proprio per questo motivo le permetto,
per contro, di collaborare con me e la invito ad accompagnarmi quando vado a
prendere o riporre del materiale usato per attività. Ritengo in questo modo di
rispondere alla propensione di Francesca a svolgere mansioni adulte
gratificandola in questo senso, ma attraverso la rotazione farle comprendere
con i pari, che lei è allo stesso livello degli altri bambini affinché non sia
sempre lei ad assumersi un ruolo che non le compete. Nel corso dei mesi emerge
anche una parte “morbida” fino a quel momento celata. Viene all’asilo con una
borsetta che la rappresenta e che contiene due sacchetti di nylon per fare la
spesa (l’aspetto pratico ed efficiente), ma anche un paio di pupetti morbidi un
anello e un pettinino. […]
Saluto la
famiglia che ci si accinge a proseguire il percorso di socializzazione alla
scuola materna; alla fine dell’anno ci ritroviamo come al solito per i colloqui
individuali. La mamma. accoglie le mie proposte di riflessione sui
comportamenti di Francesca, fa qualche domanda a me e a se stessa. Mostra un
aspetto apparentemente più debole ma che io definisco morbido come quello della
figlia e la invito a sostenere e preservare come un piccolo tesoro questo nuovo
lato di Francesca che è poi anche il suo. E’ anche il mio. Già anche il mio,
perché è sempre sorprendente, anche se ovvio, il modo in cui le relazioni
evolvano nel corso del tempo e come la triangolazione
educatore-genitore-bambino attivi un susseguirsi di azioni e reazioni:
[…]sopratutto mi hanno fatto riconciliare in quella brava bambina che sono stata.[..]
Durante l’ultimo colloquio con la mamma di Francesca parliamo di donne forti,
della fatica che facciamo a sostenere questo ruolo, della fatica che chiediamo
alle nostre figlie di fare a loro volta. Ci commuoviamo e ci riconosciamo in un
abbraccio.
Questo intervento è tratto dal convegno per i vent'anni dell'asilo nido "La Casetta".
Questo intervento è tratto dal convegno per i vent'anni dell'asilo nido "La Casetta".
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