domenica 23 novembre 2014

Le educatrici si raccontano


Piccole Donne

 Ho deciso di intitolare il mio intervento, prendendo in prestito il titolo di un famoso libro di Louise Alcott che ha accompagnato la mia fanciullezza.[…] Il romanzo narra la vita di quattro sorelle che crescono con grande senso di responsabilità, sacrificio solidarietà reciproca. All’epoca esso aveva molte estimatrici e naturalmente tutte s’identificavano con le protagoniste brave, buone e un po’ sfortunate. Insomma mi sentivo una piccola donna anch’io! […].

L’argomento è lo spunto per introdurre la storia di Francesca, una storia che simboleggia e racchiude quella di molte altre bambine che negli ultimi anni hanno frequentato l’asilo nido in cui lavoro: sempre più spesso nella nostra struttura incontriamo bambine che, come suggerisce il titolo esprimono comportamenti adulti.

Nei confronti dei pari esse sono normative, danno le regole, ricordano i limiti o manifestano atteggiamenti consolatori e di accudimento. Nei momenti di gioco, come in quelli di routine, tendono a mantenere un controllo generale piuttosto elevato, intervenendo negli scambi e nelle dispute tra bambini o indicando con solerzia all’educatore questo o quel naso da soffiare, perdendo così il piacere e il beneficio della partecipazione diretta.

Cercano spesso di mettersi al posto dell’adulto nella gestione del gruppo e nella conduzione delle attività.

Quello che superficialmente può sembrare un comportamento “responsabile” da “bambine grandi” è indicatore in realtà, di una serie di fatiche e adeguamenti che esse devono continuamente mettere in atto per compiacere l’adulto ed essere gratificate.[..]

Già nel corso del primo anno di frequenza, Francesca manifesta via, via sempre più i suoi comportamenti “adulti” nei confronti degli altri bambini e la tendenza a “mettersi al posto di” in relazione con l’educatore.

Fatica ad accettare i limiti e le sue reazioni ai “no” consistono spesso in manifestazioni di pianto e rabbia come se quei no fossero la fine di tutto e la fine della relazione affettiva  con me. Non ha relazioni privilegiate con i pari e per tutte le caratteristiche summenzionate, ha una certa difficoltà a entrare nei piccoli sottogruppi di bambini, che di volta in volta si formano.[..]

Inizio a lavorare sui limiti e mi rendo conto che i “no” che la bambina fatica ad accettare, sono proprio quelli riguardanti il suo intervento in situazioni riguardanti altri bambini. Le mie frasi “non occorre che tu dica a questo bimbo cosa deve o non deve fare” “le regole le diamo noi grandi “ “se questo bambino ha bisogno di essere consolato, ce ne occupiamo noi adulti”, “sei una bambina come lui”la feriscono molto. La frustrazione che dimostra quando viene fermata è enorme: piange, si butta per terra e rimane arrabbiata per un bel po’.

Il percorso di ”avvicinamento” è lungo e ci vuole parecchio tempo prima che accetti di essere contenuta in occasioni del genere. Parlo con il corpo oltre che con la voce. Mentre verbalmente le comunico che anche se le dico di “no”, le voglio bene lo stesso e sono disposta ad accoglierla, apro la mia postura (sono spesso seduta per terra) e tendo la mano in segno di disponibilità. Ci vorranno parecchi mesi prima che quella mano venga afferrata e che l’adulto normativo e quello affettivo vengano integrati.

Contemporaneamente lavoro sul riconoscimento della dipendenza e sull’aspetto insito nella dipendenza, contrapposto alla frustrazione che si prova a dipendere da qualcuno. Anche in questo caso il corpo è sempre un buon alleato: balliamo, saltiamo, ci abbracciamo, ci lasciamo andare, rotoliamo a terra, incontriamo gli altri.[…] Recuperiamo e riviviamo alcuni aspetti di quando era piccola ma non troppo perché non è più una neonata. Proprio per questo motivo le permetto, per contro, di collaborare con me e la invito ad accompagnarmi quando vado a prendere o riporre del materiale usato per attività. Ritengo in questo modo di rispondere alla propensione di Francesca a svolgere mansioni adulte gratificandola in questo senso, ma attraverso la rotazione farle comprendere con i pari, che lei è allo stesso livello degli altri bambini affinché non sia sempre lei ad assumersi un ruolo che non le compete. Nel corso dei mesi emerge anche una parte “morbida” fino a quel momento celata. Viene all’asilo con una borsetta che la rappresenta e che contiene due sacchetti di nylon per fare la spesa (l’aspetto pratico ed efficiente), ma anche un paio di pupetti morbidi un anello e un pettinino. […]

Saluto la famiglia che ci si accinge a proseguire il percorso di socializzazione alla scuola materna; alla fine dell’anno ci ritroviamo come al solito per i colloqui individuali. La mamma. accoglie le mie proposte di riflessione sui comportamenti di Francesca, fa qualche domanda a me e a se stessa. Mostra un aspetto apparentemente più debole ma che io definisco morbido come quello della figlia e la invito a sostenere e preservare come un piccolo tesoro questo nuovo lato di Francesca che è poi anche il suo. E’ anche il mio. Già anche il mio, perché è sempre sorprendente, anche se ovvio, il modo in cui le relazioni evolvano nel corso del tempo e come la triangolazione educatore-genitore-bambino attivi un susseguirsi di azioni e reazioni: […]sopratutto mi hanno fatto riconciliare in quella brava bambina che sono stata.[..] Durante l’ultimo colloquio con la mamma di Francesca parliamo di donne forti, della fatica che facciamo a sostenere questo ruolo, della fatica che chiediamo alle nostre figlie di fare a loro volta. Ci commuoviamo e ci riconosciamo in un abbraccio.

Questo intervento è tratto dal convegno per i vent'anni dell'asilo nido "La Casetta".




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