lunedì 23 febbraio 2015

Le educatrici raccontano: Tu non mi capisci






Questo racconto è stato elaborato sulla base dei risultati dei corsi di formazione organizzati da Archè, a favore delle insegnati e delle coordinatrici delle scuole affiliate alla FISM di Udine . In questi corsi le insegnanti che vi partecipavano portavano delle osservazioni sulle loro esperienze quotidiane, che venivano discusse con le docenti del corso e le altre allieve. Sicuramente questo racconto mostra  un pezzetto di vita dei bambini alla scuola materna e le difficoltà che possono incontrare, ma racconta  anche altro: come nella routine quotidiana a volte ci dimentichiamo di ascoltare i bambini e di come certe volte anche "i grandi"possono chiedere scusa. Cosa ne pensate? Aspettiamo le vostre opinioni !!!
 
                  
Momento del pranzo. I bambini hanno ormai terminato di mangiare, mancano solo i soliti ritardatari, quelli a cui piace essere aiutati e quelli che, vista la situazione ne approfittano per chiacchierare. I bimbi piccoli iniziano a manifestare una certa agitazione, non riescono più a stare seduti al loro posto ed usano un tono di voce più alto del solito. Se poi si considera che il refettorio accoglie a mezzogiorno un numero di bambini che sfiora i 120…non è difficile immaginare il clima caotico che si viene a creare se per un qualche motivo la situazione sfugge dal controllo.
R.: “ Quel giorno ero indaffaratissima, stavo raccogliendo i piatti e facevo la spola fra tutti i tavoli e i carrelli cercando di velocizzare l’uscita da quella stanza che velocemente si stava trasformando in un caotico agglomerato di urla e movimento. Ad un tratto vedo alcuni bambini venirmi incontro: ognuno di loro ha qualcosa da dirmi, qualcosa che vuole o qualche oggetto da farmi vedere….ed io proprio non ho tempo. Mi parlano contemporaneamente mentre le mie orecchie non riescono a distinguere le voci di chi mi è vicino da quelle sfumate ma rumorose di tutti gli altri. Fra loro c’è anche S., un bambino di 6 anni. Decido di attirare l’attenzione di tutti ed assieme ad una mia collega, inizio a togliere i bavaglini e a riporli nelle apposite buste. Mentre il mio sguardo scorre sui volti di ogni bambino mi accorgo che S., dal suo posto, mi sta fissando corrucciato, con le braccia incrociate e la bocca chiaramente arrabbiata. Aveva l’espressione cupa, sembrava quasi sprofondare nella sedia…e capisco che qualcosa non va. Nel frattempo i suoi amici si erano già alzati, c’era chi correva, chi si era messo a giocare, alcuni mi si aggrappavano addosso, ma S. se ne stava imperterrito lì, come se stesse per esplodere ed aspettasse me per farlo. Abbasso lo sguardo un attimo; quando lo rialzo lui è lì, di fronte a me, con le lacrime agli occhi e con voce di rimprovero dice: MAESTRA, TU NON MI CAPISCI!!!!”.
 
Rimango a dir poco spiazzata da quell’uscita così schietta, forte, intensa…veritiera. Con un filo di voce gli chiedo cos’è successo e lui con ancora più rabbia risponde: “Tu non mi capisci, ti ho chiesto da bere e non hai neanche sentito, non mi hai dato niente.”
R: “Io sono rimasta senza parole, volevo capire e scusarmi, ma sapevo che non era il momento giusto, la situazione era troppo confusa e caotica ed io desideravo avere S. tutto per me, o forse volevo essere io finalmente tutta per lui. Usciamo dal refettorio e ci prepariamo per andare nelle stanze. S. era ancora lì con me, stavolta piange e ripete “Tu non mi capisci” così in mezzo alla confusione più totale gli spiego che non avevo capito volesse da bere e che se voleva poteva andare in bagno a prendere un sorso d’acqua. In realtà non penso sia andato a bere, perché non era questo quello che voleva davvero dirmi, l’acqua era solo un pretesto, la cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso….un vaso colmo di tristezza e senso di non comprensione nei suoi confronti. L’ho invitato a sedersi accanto a me, desideravo capire cosa aveva da dirmi, volevo attraversare per un attimo la sua mente, arrivare ai suoi pensieri, alle sue emozioni, comprendere la sua rabbia e darle un senso. Lui mi parlava fra i singhiozzi,il suo era un pianto profondo, vero….dalle sue parole ho capito che la sua non era sete di acqua ma sete di ascolto!!! Mi sono scusata con lui per la mia grave mancanza. Solo qualche giorno prima avevo spiegato ai bambini l’importanza di stare seduti a tavola e di ascoltare prima di parlare, aspettando il proprio turno e tutto questo l’ho fatto per cercare di rendere il momento del pranzo più piacevole e rilassante. Ma non ho pensato….stavolta ero stata io a non ascoltare un bambino e la sua necessità di sentirmi lì anche per lui. Ho chiesto a S. se mi perdonava, al suo cenno positivo del capo ho capito di aver risolto la situazione e di aver compreso una cosa molto più importante dell’ordine e della disciplina.”
 
Questo episodio ha segnato molto R., l’ha fatta stare male perché l’ha colpita nell’intimo. “Tu non mi capisci” sono parole forti, che restano e che non si vorrebbe mai sentir dire dalle persone che si conoscono e a cui si vuole bene.
La storia di S. e della sua disperazione, evidenzia anche delle problematiche comuni di gestione delle routine e di organizzazione degli spazi all’interno di molte strutture per l’infanzia: . il momento del pranzo, per essere piacevole e sereno come dovrebbe essere per chiunque, non dovrebbe radunare in uno stesso luogo 120 bambini.


R: “Questo episodio mi ha fatto riflettere ancora di più sull’importanza e sulla valenza di doversi fermare semplicemente ad ASCOLTARE i bambini e le loro esigenze…è un verbo semplicissimo, che richiama però alcuni dei bisogni più accesi e necessari alla nostra società attuale: fermarsi, osservare, ascoltare pensare e comunicare le proprie emozioni agli altri”.
 
 

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