martedì 17 marzo 2015

Giovanni e il suo disegno



 Questo racconto è tratto dall' intervento al convegno "Come e perchè  scegliere l'asilo nido" . La dott.ssa Serena Bontempi, coordinatrice della struttura I nidi nel nido, ci mostra quante cose    si possono trovare  dentro a un solo disegno e cosa significa per una mamma ed un bambino, lasciarsi e ritrovarsi ogni giorno. 

 Giovanni è un bambino che all’epoca della produzione del disegno che vedete aveva due anni e 4 mesi.

Da parecchio tempo, un po’ meno di due anni, frequentava il nido. Infatti era stato inserito dalla sua mamma all’età di 8 mesi, piccolissimo. La mamma e il papà erano stati da subito piuttosto sicuri della propria decisione di mandare Giovanni al nido. Nonostante ciò la mamma, specialmente nei primi periodi, si dimostrava preoccupata di lasciare il suo bimbo e
 diceva anche di sentirsi in colpa per quel rientro al lavoro vissuto in maniera piuttosto conflittuale. Amava molto suo figlio e godeva intensamente della relazione quotidiana con lui, amava anche il suo lavoro che definiva gratificante. Ogni giorno era alle prese con questi sentimenti contrapposti. Restare a lungo con le educatrici durante i primi periodi dell’inserimento e poter fare i conti con tutti questi pensieri parlandone assieme, aveva  aiutato la mamma a risolvere i nodi della prima separazione e aveva liberato Giovanni dalle ombre dei pensieri difficili che arrivavano dalla sua mamma. Il bambino così aveva potuto iniziare una frequenza al nido continuata e serena. Frequenza che nei mesi e negli anni si era dimostrata molto gratificante per Giovanni: giocava intensamente e liberamente, aveva delle buone relazioni interne con le educatrici che lo curavano, apprezzava la compagnia dei pari ben prima del compimento del secondo anno, protestava e domandava aiuto se qualcosa lo turbava, mangiava con gusto, dormiva, si faceva coccolare al bisogno. Insomma stava bene.

E questo anche se arrivava alla mattina abbastanza presto e andava via alla sera spesso per ultimo.

Ma veniamo al disegno.

Quello che vedete è un disegno prodotto con pennelli piuttosto grossi e colori a tempera. Il foglio viene messo dalle educatrici in verticale attaccato al muro ad altezza bimbo e i bambini, in piedi di fronte al foglio, possono lavorare il colore a loro piacimento attenendosi ai margini del foglio.

Il foglio misura cm 118 per cm 84. E’ dunque ampio ma comunque impegnativo per un bambino di due anni che maneggia un grosso pennello.

Dai tratti ampi e continui e dalle sovrapposizioni di colore che vediamo nel disegno del bambino, possiamo immaginare con quanto vigore e passione Giovanni si sia dedicato a questa sua opera e come però allo stesso tempo si sia impegnato a rispettare i bordi imposti dai margini del foglio. Qualche sbaffo di colore in basso e in alto pare sfuggire dal foglio.

Il disegno è centrato e occupa la maggior parte dello spazio.

Giovanni ha lavorato con continuità alla sua produzione per circa 20 minuti alternando e sovrapponendo i colori.

E poi ha dichiarato: “finito”.

A quel punto F., educatrice che seguiva i bambini durante le pitture, gli ha chiesto:”Vuoi dirmi quello che hai disegnato?”

Giovanni allora, puntando con il dito singolarmente le due macchie di colore ha detto semplicemente “mamma” , “papà”.

Ancora F. ha chiesto a Giovanni: “ e cosa fanno mamma e papà?”

Giovanni: “ sono al lavoro”[…]

Come molte sere alle 17.30 è arrivata anche la mamma Giovanni. Ha visto il disegno, ha parlato con l’educatrice e con Giovanni della giornata appena trascorsa e di come era stato bello disegnare e di come era bello il suo disegno.

E poi se ne sono andati.

Il giorno dopo però la mamma di Giovanni mi ha cercata, voleva dirmi una cosa che, visto il tono introduttivo, evidentemente la turbava.

Mi raccontò che vedendo il disegno di Giovanni il giorno prima, al figlio aveva fatto dei complimenti, ma dentro di sé si era sentita molto male. Quel disegno, secondo lei, era rappresentativo dell’abbandono che il bambino provava. Ogni giorno. E per cosa poi? Per il lavoro! “ Povero mio figlio!” era stata la sua conclusione.

Ho pensato che a questo punto la sua preoccupazione meritava di essere presa in considerazione e assieme abbiamo fatto una riflessione sui significati del disegno di Giovanni ma anche su quelli inerenti la sua lettura personale della cosa.

Giovanni aveva lavorato al suo disegno con molto piacere, dedizione e grande concentrazione e il risultato, nei termini di una lettura significativa della sua produzione, ci diceva delle cose importanti e molto positive rispetto al percorso evolutivo di Giovanni. Innanzi tutto il bambino dimostrava di avere solidamente nella sua mente un’immagine profonda e sicura delle sue figure genitoriali. Le due macchie distinte di colore ce lo testimoniavano. A quelle macchie aveva lavorato a lungo, con più colori. Inoltre i molti tratti delle due macchie che si incrociavano e toccavano parlavano anche del legame affettivo esistente tra i due coniugi che il bambino aveva compreso e rappresentato efficacemente. Ma l’aspetto sicuramente più significativo e profondo era forse proprio dato da quella breve frase che il bambino aveva pronunciato e l’educatrice riportato: sono al lavoro. Con quella frase Giovanni ci faceva capire di essere in grado di pensare ai suoi genitori lontani. Il pensiero è la funzione complessa che ci determina come persone, persone pensanti, questo era Giovanni. Quando la mamma non c’era più, perché era uscita per andare al lavoro, Giovanni era in grado ogni giorno di richiamarla alla mente, rappresentarla, ricordarla, immaginarla. E proprio questo aveva fatto in quel disegno: un’evocazione affettiva. Aveva sentito dentro di sè la potenza del legame affettivo, del suo legame affettivo con la sua mamma e con il suo papà. E lo aveva dichiarato rappresentandolo con i suoi tratti da pittore. Ogni giorno e ogni volta che ne sentiva il bisogno poteva farlo attraverso le capacità di rappresentazione simbolica a disposizione di un piccolo essere umano che cresce. Soprattutto giocare, ma anche appunto disegnare, e, come avevamo sentito dalla sua dichiarazione, parlare, ascoltare e raccontare.

Quando chi ami non c’è lo pensi, questo ci aiuta molto

Quando chi ami e che sai che ti ama non c’è lo evochi, lo rappresenti  per ricreare l’effetto di quell’amore.

Insomma il disegno di Giovanni, e come lui lo aveva prodotto, ci diceva che tutto andava bene per il bambino e che il legame con i suoi genitori era positivo e solido.

[…]

Di chi era allora il turbamento?

Chi era la persona che si sentiva “povera”?

Il silenzio della mamma e la sua crescente emozione mi facevano capire che la riflessione fatta assieme la stava toccando profondamente.

Mi disse allora quanto spesso ancora si sentisse in colpa la sera se faceva tardi al lavoro.

Quanto l’idea che Giovanni fosse quasi sempre uno degli ultimi ad uscire non la facesse stare tranquilla.

Vedere quella frase, sono al lavoro, sul foglio del disegno di suo figlio aveva materializzato lo spessore del suo dispiacere quotidiano, del suo conflitto quotidiano, delle sue difficoltà di separazione da questo bambino che cresceva.

Era la sua lettura del disegno, la lettura di se stessa che si sentiva in conflitto.

Le considerazioni che assieme eravamo riuscite a fare erano emotivamente difficili per la mamma ma molto importanti soprattutto per gli aspetti della separazione che sembravano, per lei, essere ancora parzialmente irrisolti. Eravamo riuscite, riflettendo insieme, a separare gli stati emotivi del bambino da quelli della sua mamma.

Essere lontani fisicamente, non vedersi per lunghe ore sicuramente non è sufficiente per definirsi separati.

La presa di coscienza della diversità dei propri sentimenti rispetto a quelli dell’altro è invece un passo più lungo verso una separazione consapevole e che conduce ad aspetti evolutivi per entrambi i partecipanti alla relazione.

Questo indubbiamente aveva fatto Giovanni quando nel suo disegno aveva rappresentato i suoi legami affettivi, lontano dalla presenza dei genitori, dichiarandoli a se stesso con creatività e soddisfazione personali.

Un altro ambiente diverso da quello familiare ma anch’esso comprensivo, contenitivo e accogliente, quello cioè creato dalle educatrici del nido, aveva permesso che ciò accadesse.

Infatti Giovanni, tutelato nei suoi equilibri emotivi, si era sentito sicuro di potersi esprimere senza essere sottoposto a giudizi. E così aveva fatto.

Per la mamma invece riuscire a riflettere sul fatto che Giovanni stesse abbastanza bene l’aveva fatta incontrare con il suo malessere.[…]

 Una cosa veramente importante poteva aiutarla nell’accettare la separazione da suo figlio e i conflitti che ne derivavano: quella produzione grafica così significativamente profonda era la creazione di un bambino che si sentiva chiaramente amato e che aveva della doti creative interessanti. Quel bimbo era suo figlio e quella che lo amava era lei.               

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