«Vuoi giocare con me?»: verso i tre, quattro anni
è il modo più semplice per fare amicizia. E iniziare così nuove relazioni con i coetanei fuori dalla
famiglia, all'epoca dell'asilo e dei primi passi nella società. Oggi, in piena
«crescita zero», insieme
alle culle si svuotano di bambini anche le case, i cortili, le strade, le piazze, i
giardini... E sempre più spesso il luogo dei primi incontri stabili, continui,
quotidiani con gli altri bambini, è proprio l'asilo: è qui che nascono le prime
amicizie, insieme ai primi giochi di gruppo. E anche le prime passioni,
le confidenze, le complicità, i conflitti, le gelosie, i tradimenti, i liti i, i
grandi dolori... E le grandi riappacificazioni.[…]
«Vuoi essere
mio amico?»
Come nasce l'amicizia? Che cosa attrae tanto due bambini, da creare fra loro
un legame spesso molto intenso, appassionato?
Inizialmente è la somiglianza la vera calamita che attrae indistintamente
i bambini fra loro, un po' come succedeva scoprendo
la propria immagine allo specchio: «Lui è proprio come me!». Si muovono così
l'uno verso l'altro, si guardano, si sorridono, si toccano, si scambiano le prime parole, dal semplice «Ciao!», a
messaggi già più intenzionali, che
colgono sul momento come pretesto per entrare in contatto - «E tua questa
palla?», «Mi fai vedere le tue figurine?» -via via fino a «Vuoi giocare con me?» che equivale ad una proposta
esplicita di amicizia.
Dopo questa schermaglia di avvicinamento, che ciascuno mette in atto
seguendo i rituali infantili più adatti alla propria indole, i giochi sono aperti: possono finire nello spazio di pochi
minuti, così come sono nati. O trasformarsi invece nel legame più importante,
per il bambino, quando verso i tre
anni comincia a staccarsi dalla famiglia: l'amicizia. La molla che la fa scattare non è mai casuale: la scelta di un amico corrisponde sempre a bisogni molto
profondi del bambino, che spesso sono «di compensazione». Più che la
somiglianza prevale ora l'attrazione
fra opposti: si crea così una specie di vaso comunicante, in cui le mancanze dell'uno vengono compensate dall'altro
e viceversa.
Non è strano quindi
che il bambino un po' timido, delicato, sensibile diventi amico di quello più estroverso, deciso, combattivo: se l'uno
si sente più protetto, meno indifeso nei giochi di gruppo, l'altro ha modo di dare prova della sua «forza», in
senso positivo, non solo aggredendo ma
anche difendendo il più debole. Il quale a poco a poco tenderà a identificarsi con l'amico «più forte», facendo proprie qualità che gli mancano attraverso la spinta
imitativa, mentre l'altro tenderà ad affinare la sua personalità, assorbendo
dall'amico un tipo di sensibilità
e di capacità immaginativa che finora ha avuto poco modo di scoprire dentro di sé e di esprimere. L'amico rappresenta così per il bambino l'altra parte di sé, un
nuovo modello in cui riconoscersi: un
ulteriore «tassello» da collocare nel mosaico della sua personalità ancora in
evoluzione.
Spesso i bambini sono molto attratti dai compagni
più grandi di loro, più che dai coetanei:
vorrebbero unirsi al loro gruppo, giocare con loro, diventare amici... Ma vengono quasi sempre trattati
con condiscendenza, e rimessi «al loro posto»,
fra i più piccoli. Perché? E che cosa li affascina tanto? L'amico «ideale», quello che tutti i bambini
vorrebbero avere, è proprio il compagno più
grande, una figura a metà strada fra il mondo degli adulti e quello infantile. È lui che guardano da lontano con
sconfinata ammirazione, mentre si esibisce in affascinanti prodezze di cui i
più piccoli sono ancora incapaci: un tiro di palla centrato nel cesto o nella rete, un tuffo dall'alto
del trampolino, un salto oltre il recinto del giardino, o dai ramo di un
albero... Più che dalle capacità fisiche, le bambine invece sono
affascinate dagli aspetti «seduttivi» di una
compagna più grande: la osservano con estrema attenzione e spesso cercano di imitare il suo modo di parlare, di camminare... E più avanti anche di pettinarsi o di
vestirsi.
Questi compagni più grandi appaiono al bambino come
figure straordinarie, bambini
come loro, che però sono già un passo più in là, e sembrano aver scoperto il grande segreto: come «si fa» a diventare
adulti. Fra loro non si stabilisce quasi mai una vera amicizia: al massimo i più grandi affidano ai più piccoli
qualche ruolo marginale nei loro giochi, senza mai impegnarsi davvero con
loro. E senza farli partecipi dei loro «segreti»...
Tuttavia anche loro rappresentano modelli
«ideali» molto importanti per il bambino: sono figure mitiche, dai contorni «eroici», come quelle dei
genitori o di altri adulti e nello
stesso tempo sono idoli più a portata di mano, meno irraggiungibili.
L'importanza delle
relazioni fra coetanei
Perché sono così importanti le relazioni fra
coetanei? E come influiscono sullo
sviluppo del bambino?
Fino ai tre, quattro anni, i veri punti di riferimento del bambino, i modelli che ammira e ai quali si sforza di
somigliare sono gli adulti, i
genitori: idoli giganteschi, che guarda dal basso verso l'alto, come si guarda
la vetta di una montagna, una meta ancora lontana e difficile da raggiungere.
Da solo, non può nemmeno provare a scalarla... Insieme ai coetanei invece può cominciare a fare le prime prove, alla pari, su un terreno più piano, meno impervio anche
se certamente non privo di difficoltà
e di ostacoli: quello dell'amicizia e del gioco.
Fra di loro, i bambini possono scorazzare
liberamente come su una grande prateria ai
piedi della montagna, in attesa di cominciarne la scalata.
Possono «studiare» come si fa a diventare grandi, e cercare di raggiungere i
loro obiettivi, i loro ideali ancora lontani, verificando le proprie capacità e confrontandole con un altro bambino come loro: «Guarda che cosa sono capace di fare!
E tu?». C'è anche competitività,
nell'amicizia: ma finalmente si tratta di un confronto «ad armi pari», non più in condizioni di
inferiorità, come con gli adulti, che consente una prima verifica reale dei
propri punti di forza e dei propri limiti.
Il bambino si abitua così a puntare sulle sue risorse, ad accentuarle, equilibrando i suoi punti deboli. C'è chi è
più popolare e chi meno. Chi ha già un
atteggiamento da leader e chi si sente un gregario o un «seguace»; chi ha continuamente delle idee, e chi le elabora,
le rende realizzabili. L'uno salta giù da un albero senza paura, l'altro è
imbattibile nelle corse. Andrea inventa giochi più liberi, fantasiosi, Carlo invece stabilisce le regole, crea
un ordine... Nel rapporto coi coetanei il bambino ha così modo di sapere in che
cosa è «bravo», come e rispetto a chi. Ma soprattutto verifica per la prima volta in modo libero, spontaneo la possibilità
di essere accettato e amato anche da altri
bambini come lui, al di fuori di qualsiasi vincolo familiare.
Tratto da S.Vegetti Finzi, A PICCOLI PASSI, 1994, Mondadori.
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