domenica 12 aprile 2015

Le prime amicizie




«Vuoi   giocare con me?»: verso i tre, quattro anni è il modo più semplice per fare amicizia. E iniziare così nuove relazioni con i coetanei fuori dalla fami­glia, all'epoca dell'asilo e dei primi passi nella società. Oggi, in piena «cre­scita zero», insieme alle culle si svuotano di bambini anche le case, i cortili, le strade, le piazze, i giardini... E sempre più spesso il luogo dei primi in­contri stabili, continui, quotidiani con gli altri bambini, è proprio l'asilo: è qui che nascono le prime amicizie, insieme ai primi giochi di gruppo. E an­che le prime passioni, le confidenze, le complicità, i conflitti, le gelosie, i tra­dimenti, i liti i, i grandi dolori... E le grandi riappacificazioni.[…]


«Vuoi essere mio amico?»

Come nasce l'amicizia? Che cosa attrae tanto due bambini, da creare fra lo­ro un legame spesso molto intenso, appassionato?

Inizialmente è la somiglianza la vera calamita che attrae indistin­tamente i bambini fra loro, un po' come succedeva scoprendo la pro­pria immagine allo specchio: «Lui è proprio come me!». Si muovono così l'uno verso l'altro, si guardano, si sorridono, si toccano, si scam­biano le prime parole, dal semplice «Ciao!», a messaggi già più in­tenzionali, che colgono sul momento come pretesto per entrare in contatto - «E tua questa palla?», «Mi fai vedere le tue figurine?» -via via fino a «Vuoi giocare con me?» che equivale ad una proposta esplicita di amicizia.

Dopo questa schermaglia di avvicinamento, che ciascuno mette in atto seguendo i rituali infantili più adatti alla propria indole, i giochi sono aperti: possono finire nello spazio di pochi minuti, così come sono nati. O trasformarsi invece nel legame più importante, per il bambino, quando verso i tre anni comincia a staccarsi dalla famiglia: l'amicizia. La molla che la fa scattare non è mai casuale: la scelta di un amico corrisponde sempre a bisogni molto profondi del bambi­no, che spesso sono «di compensazione». Più che la somiglianza prevale ora l'attrazione fra opposti: si crea così una specie di vaso comunicante, in cui le mancanze dell'uno vengono compensate dall'altro e viceversa.

Non è strano quindi che il bambino un po' timido, delicato, sensi­bile diventi amico di quello più estroverso, deciso, combattivo: se l'uno si sente più protetto, meno indifeso nei giochi di gruppo, l'al­tro ha modo di dare prova della sua «forza», in senso positivo, non solo aggredendo ma anche difendendo il più debole. Il quale a poco a poco tenderà a identificarsi con l'amico «più forte», facendo pro­prie qualità che gli mancano attraverso la spinta imitativa, mentre l'altro tenderà ad affinare la sua personalità, assorbendo dall'amico un tipo di sensibilità e di capacità immaginativa che finora ha avuto poco modo di scoprire dentro di sé e di esprimere. L'amico rappre­senta così per il bambino l'altra parte di sé, un nuovo modello in cui riconoscersi: un ulteriore «tassello» da collocare nel mosaico della sua personalità ancora in evoluzione.

Spesso i bambini sono molto attratti dai compagni più grandi di loro, più che dai coetanei: vorrebbero unirsi al loro gruppo, giocare con loro, di­ventare amici... Ma vengono quasi sempre trattati con condiscendenza, e ri­messi «al loro posto», fra i più piccoli. Perché? E che cosa li affascina tanto? L'amico «ideale», quello che tutti i bambini vorrebbero avere, è proprio il compagno più grande, una figura a metà strada fra il mondo degli adulti e quello infantile. È lui che guardano da lontano con sconfinata ammirazione, mentre si esibisce in affascinanti pro­dezze di cui i più piccoli sono ancora incapaci: un tiro di palla cen­trato nel cesto o nella rete, un tuffo dall'alto del trampolino, un salto oltre il recinto del giardino, o dai ramo di un albero... Più che dalle capacità fisiche, le bambine invece sono affascinate dagli aspetti «seduttivi» di una compagna più grande: la osservano con estrema at­tenzione e spesso cercano di imitare il suo modo di parlare, di cam­minare... E più avanti anche di pettinarsi o di vestirsi.

Questi compagni più grandi appaiono al bambino come figure straordinarie, bambini come loro, che però sono già un passo più in là, e sembrano aver scoperto il grande segreto: come «si fa» a diven­tare adulti. Fra loro non si stabilisce quasi mai una vera amicizia: al massimo i più grandi affidano ai più piccoli qualche ruolo margina­le nei loro giochi, senza mai impegnarsi davvero con loro. E senza farli partecipi dei loro «segreti»... Tuttavia anche loro rappresentano modelli «ideali» molto importanti per il bambino: sono figure miti­che, dai contorni «eroici», come quelle dei genitori o di altri adulti e nello stesso tempo sono idoli più a portata di mano, meno irrag­giungibili.

L'importanza delle relazioni fra coetanei

Perché sono così importanti le relazioni fra coetanei? E come influiscono sullo sviluppo del bambino?

Fino ai tre, quattro anni, i veri punti di riferimento del bambino, i modelli che ammira e ai quali si sforza di somigliare sono gli adulti, i genitori: idoli giganteschi, che guarda dal basso verso l'alto, come  si guarda la vetta di una montagna, una meta ancora lontana e diffi­cile da raggiungere. Da solo, non può nemmeno provare a scalarla... Insieme ai coetanei invece può cominciare a fare le prime prove, alla pari, su un terreno più piano, meno impervio anche se certamente non privo di difficoltà e di ostacoli: quello dell'amicizia e del gioco.

Fra di loro, i bambini possono scorazzare liberamente come su una grande prateria ai piedi della montagna, in attesa di cominciar­ne la scalata. Possono «studiare» come si fa a diventare grandi, e cer­care di raggiungere i loro obiettivi, i loro ideali ancora lontani, veri­ficando le proprie capacità e confrontandole con un altro bambino come loro: «Guarda che cosa sono capace di fare! E tu?». C'è anche competitività, nell'amicizia: ma finalmente si tratta di un confronto «ad armi pari», non più in condizioni di inferiorità, come con gli adulti, che consente una prima verifica reale dei propri punti di for­za e dei propri limiti.

Il bambino si abitua così a puntare sulle sue risorse, ad accentuarle, equilibrando i suoi punti deboli. C'è chi è più popolare e chi meno. Chi ha già un atteggiamento da leader e chi si sente un gre­gario o un «seguace»; chi ha continuamente delle idee, e chi le ela­bora, le rende realizzabili. L'uno salta giù da un albero senza paura, l'altro è imbattibile nelle corse. Andrea inventa giochi più liberi, fantasiosi, Carlo invece stabilisce le regole, crea un ordine... Nel rapporto coi coetanei il bambino ha così modo di sapere in che cosa è «bravo», come e rispetto a chi. Ma soprattutto verifica per la pri­ma volta in modo libero, spontaneo la possibilità di essere accettato e amato anche da altri bambini come lui, al di fuori di qualsiasi vin­colo familiare.
Tratto da S.Vegetti Finzi, A PICCOLI PASSI, 1994, Mondadori.

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